Il reato di stalking

Il reato di stalking in Italia, previsto dall’ art. 612 bis – rubricato “atti persecutori” -, è stato introdotto dalla Legge n. 38 del 23 aprile 2009, aggiornato poi nel 2019. A seguito delle enormi difficoltà di far fronte al fenomeno dello stalking (inteso generalmente come insieme di comportamenti persecutori ripetuti e intrusivi, come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate, o qualsivoglia attenzione non desiderata, tenuti da una persona nei confronti della propria vittima) con le precedenti disposizioni normative, il legislatore ha deciso di elaborare ed introdurre il reato de quo. Così, l’art. 612 bis recita che “è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. A tale riguardo, una recente sentenza della Cassazione II^ Sez. n. 32376/2024 ha chiarito che nel delitto di atti persecutori l’elemento soggettivo si integrata con il “semplice” dolo generico. In sostanza, la Suprema Corte ha statuito che non assume alcun pregio il fatto che il soggetto non si sia reso conto del tenore gravemente minaccioso dei propri messaggi, anche non dando corso effettivo alle stesse minacce. E’ sufficiente per l’integrazione del reato – infatti – il dolo generico, il cui contenuto “richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione”. #stalking #reato #codicepenale #studiolegalemastrovito #cassazione #diritto #vittimastalking #codicepenale
Militare: falsa annotazione delle presenze nel memoriale di servizio da parte dell’appartenente alle forze armate integra sia un falso sia il reato di truffa.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5723 del 09 luglio 2024, ha condannato un appartenente delle Forze Armate a seguito di annotazione sul cd. “memoriale di servizio” della propria presenza in attività nei giorni e nelle ore indicate, che, in realtà, non sono state prestate; infatti, lo stesso non era presente sul luogo di lavoro. Tali condotte, integrano il reato falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, di cui all’ art. 479 del codice penale, in quanto tale documento ha natura di atto pubblico; ne consegue che le false attestazioni integrano il reato predetto. A tal riguardo, i giudici d’appello confermano che il c.d. memoriale, in ragione della natura e del contenuto, così come previsti dal Regolamento militare, non può essere ricondotto, neanche per la parte attestante la presenza ed i servizi effettuati, ad un mero documento assimilabile a “cartellino marcatempo”, ma bensì assimilabile ad atto pubblico. Inoltre, le false annotazioni riportate sul memoriale integrano idonei “artifici” che il militare ha utilizzato per lucrare indebite indennità legate – giustappunto – alle false presenze; di qui è scaturito un evidente vantaggio integrando così il reato di truffa. #avvocato #studiolegale #avvocatomilitare #diritto #militare #dirittomilitare #dirittopenale #falso #reatoditruffa #forzearmate
Danno da stress lavoro-correlato causato da imposta inattivita’ al dipendente pubblico.

Con sentenza n. 22161/2024 la Corte di cassazione ha accolto il ricorso di una dipendente di un Comune che a seguito di ordine di servizio del datore di lavoro (il Comune, per l’appunto) si era ritrovata sostanzialmente per due anni senza alcuna attività da svolgere. Alla dipendente, poco dopo, le veniva diagnosticato uno stato ansioso-depressivo. Adito il giudice di primo grado, questo stabiliva oltre 10.000 euro di risarcimento del danno da stress lavoro-correlato a carico dell’ente locale. Quest’ultimo in appello, invero, otteneva il ribaltamento della decisione di prime cure, in quanto veniva disconosciuto il nesso tra patologia denunciata e la condizione della donna sul luogo di lavoro. Infatti, era stato accolto il motivo di impugnazione con cui il Comune riteneva errata la conclusione del giudice di primo grado. In pratica, per i giudici di secondo grado non si poteva far risalire l’eziologia della malattia psichica a un momento praticamente coincidente con la nuova situazione sul luogo di lavoro. Inoltre, risultava che la donna qualche mese prima dell’ordine di servizio avesse già fatto ricorso a visita e cure per problemi psichici. La Cassazione accoglie il ricorso della dipendente, nel senso che il giudice di appello avrebbe dovuto affidarsi a una consulenza tecnica per poter riformare la sentenza di primo grado, affermando, contestualmente, che non è solo l’insorgenza ma anche l’aggravamento di uno stato patologico a poter essere fonte di danno per stress lavoro-correlato L’inattività può ben essere fonte di stress lavoro-correlato anche se l’organizzazione “difettosa” posta in essere dal datore di lavoro non è finalizzata a mobbizzare il lavoratore lasciato con le mani in mano. Ebbene, si tratta comunque di una condizione idonea a creare quello stato patologico che può causare disturbi o disfunzioni fisiche, psicologiche e sociali. Infine, non ha alcuna rilevanza un’eventuale patologia pregressa se comunque lo stress lavorativo ne ha determinato l’aggravamento anche se non l’insorgenza. #stressolavorocorrelato #diritto #dirittodellavoro #studiolegalemastrovito #dirittopubblico #dipendetepubblico #risarcimentodanno
DIRITTO DI CRITICA: limitazioni per il personale militare.

Un interessante Parere del Consiglio di Stato – Sezione Prima – del 19 giugno 2024 (Affare 00739/2022) ha trattato il corretto esercizio del diritto di critica (tema di per sé molto intricato) in applicazione dell’art. 21 della Costituzione per il personale militare, delineando delle marcate limitazioni. L’alto consesso ha stabilito – in sintesi – che il diritto di critica da parte del personale militare (#dirittomilitare) deve improntarsi al rispetto di un linguaggio appropriato, corretto e sereno, nonché alla esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza del fatto e della veridicità, cioè della corrispondenza tra fatti avvenuti e riferiti. In particolare, i giudici hanno anche precisato che “Tale diritto fondamentale – riconosciuto espressamente in favore del personale militare dall’art. 1472 c.m. ed il cui esercizio di per sé solo non può mai dare luogo a sanzioni disciplinari ex artt. 1465 e 1466 c-m- – trova un proprio limite intrinseco (oltre quelli esplicitati dai menzionati artt. 1465 e 1472 c.m.), nella necessità che le espressioni usate, in relazione al costume sociale ed alle modalità comunicative normalmente usate, non solo non integrino una lesione penalmente rilevante di altre posizioni giuridiche, ma – nei contesti sociali per i quali vige una disciplina comportamentale più rigorosa, quali quelli assoggettati ad un regolamento di disciplina come avviene per i corpi militari – siano continenti, ovvero esternate con modalità tali da non travalicare i principi di correttezza stabiliti dalla normativa in materia disciplinare. Non può infatti ammettersi che la finalità di critica costituisca causa di giustificazione di ogni tipo di infrazione alle regole di comportamento da applicarsi nell’ambito particolare considerato. Il diritto di critica da parte degli appartenenti alle Forze Armate deve improntarsi ad una continenza particolarmente rigorosa del linguaggio e dei toni e deve essere evitata nel suo esercizio ogni esplicita o implicita commistione fra il pensiero espresso ed il ruolo ricoperto.” Va da sé, così come ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, che i militari abbiano il dovere di assumere – anche nell’esercizio del diritto di critica (costituzionalmente presidiato) – condotte di tipo materiale caratterizzate da appropriatezza, continenza e – si potrebbe dire – rispetto della civile convivenza in genere. #militare #dirittodicritica #dirittomilitare #dirittomilitare #dirittoamministrativomilitare #studiolegalemastrovito #forzearmate
Ricorso 6 scatti TFS pensionati ex Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare

Lo Studio Legale Mastrovito, informa della possibilità di depositare ricorso dinanzi al Tar competente, sia in forma singola che collettiva, per il riconoscimento del diritto all’inclusione di sei scatti stipendiali nel calcolo del Tfs ai sensi dell’art. 6 bis del D.L. n. 387 del 1987, con condanna in capo all’Inps al pagamento del maggior importo dovuto a seguito di rideterminazione del TFS spettante. Tale diritto è già stato sancito mediante numerose sentenze emesse dai Tribunali Amministrativi di tutta Italia, nonchè confermato dal Consiglio di Stato. REQUISITI Il ricorso può essere proposto dal personale appartenente alle Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare (Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Carabinieri) congedatosi a domanda con almeno 55 anni di età e 35 anni di servizio utile contributivo. Il requisito dell’età anagrafica e del servizio non sono alternativi ma devono entrambi sussistere all’atto del congedo. MODALITA’ DI ADESIONELo studio propone il ricorso sia in forma singola che collettiva. Per chiedere informazioni e\o un preventivo personalizzato è sufficiente contattare la segreteria di studio al nr. 0321/1640498o, in alternativa inviare una e-mail all’indirizzo di posta elettronica segreteria@studiolegalemastrovito.com. Lo Studio, previa specifica valutazione della singola posizione, fornirà le informazioni richieste indicando il costo del preventivo sia esso richiesto in forma di adesione singola che eventualmente collettiva. #diritto #dirittomilitare #tfs #polizia #carabinieri #forzedipolizia #liquidazione #militari
Intervento della Corte Costituzionale sull’art. 42 bis D.LGS N. 151/2001 (T. U. in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità)

Con la recentissima Sentenza n. 99/2024 la Corte Costituzionale ha riconosciuto che i dipendenti pubblici possono chiedere ed ottenere il trasferimento temporaneo di cui all’art. 42 bis, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001 presso una sede di servizio ubicata nella Regione o nella Provincia dove risiede la famiglia. Detta sentenza ha pronunciato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42 bis, comma 1, D.Lgs. 151/2001 che prevedeva la possibilità del dipendente pubblico con figli fino a tre anni di età di trasferirsi presso una Regione o una Provincia dove l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa. Invero, la norma in questione violava la Costituzione, così come ha statuito l’alto consesso, non garantendo una adeguata e congrua tutela alla famiglia e all’infanzia (artt. 3 e 31 Cost.). Sempre in ragione di detta pronuncia, la possibilità di ottenere un trasferimento temporaneo presso la Regione o la Provincia ove sia fissata la residenza familiare comporta anche, per i genitori, una maggiore autonomia decisionale nello scegliere il luogo dove risiedere con la famiglia, quantomeno in quel momento storico. Appare infine interessante il rilievo svolto in sentenza circa il fatto che l’ipotesi oggetto di pronuncia risulta essere – comunque – ormai rara in ragione delle sempre più stringenti possibilità, nell’ambito della Pubblica Amministrazione in generale, di lavorare in smart-working. #diritto #dirittopubblico #cortecostituzionale #dirittomilitare #militare #pubblicodipendente #art.42bis #avvocatomilitare
DIRITTO MILITARE. #Vittime del dovere: requisiti e tutele.

Tutti gli appartenenti al Comparto Difesa, Sicurezza e Soccorso Pubblico (#dirittomilitare) che hanno subito infortuni e malattie professionali, e comunque infermità nello svolgimento del loro dovere (infermità che devono essere già riconosciute dipendenti da causa di servizio), possono chiedere benefici relativi alla condizione di vittima del dovere, così come espressamente previsto dall’art. 1 comma 563 della Legge n. 266 del 2005. In sintesi, si definiscono #vittime del dovere i deceduti o rimasti invalidi permanenti “in attività di servizio o nell’espletamento di funzioni d’istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: 1. Nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; 2. Nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; 3. Nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; 4. In operazioni di soccorso; 5. In attività di tutela della pubblica incolumità; 6. A causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteri di ostilità”. Per quanto concerne l’eventuale termini prescrizionali La Cassazione e i Tribunali di merito hanno ormai statuito che non si applica il termine decennale per lo status in questione (Cassazione – Sezione lavoro, n. 17440/202). Una recente sentenza della Cassazione – poi – riconosce Vittime del dovere tutti coloro che rientrano nelle fattispecie previste dall’art. 1 comma 536 lettera da a) a f), L. 266/05. Oltre alla tutela indennitaria, le vittime, e i loro familiari, hanno diritto al risarcimento del danno. In caso di decesso, queste somme debbono essere liquidate agli eredi legittimi. Questi ultimi, se stretti congiunti, hanno diritto, in aggiunta, ad un risarcimento del danno cd. iure proprio. Inoltre, questa tutela è assicurata anche a coloro che subiscono infermità nell’adempimento dei loro doveri, anche nel caso in cui non siano dipendenti pubblici (SS.UU. 22753/2018). Per quanto riguarda l’istituto della prescrizione vittime del dovere, oltre ad alcune sentenze di merito, la Cassazione Pertanto, ed in sintesi, tutti i soggetti affetti da infermità contratte in servizio presso le Forze Armate o Corpi Militari ovvero assimilati, ed i loro congiunti, possono richiedere l’accertamento dello status di Vittime del Dovere e vedersi riconosciuti i relativi benefici economici ed assistenziali. Contattaci per una valutazione di merito. segreteria@studiolegalemastrovito.com 0321/1640498 #vittimedeldovere #diritto #dirittomilitare #forzearmate #causediservizio
POSIZIONE PREVIDENZIALE: VERIFICA DEFINITIVITA’ E CALCOLI PENSIONISTICI.

Il personale del Comparto Difesa, Sicurezza e Soccorso Pubblico collocato in quiescenza può attendere anche molti anni prima di vedersi emesso il provvedimento pensionistico definitivo (Determinazione Pensionistica). In pratica, si tratta del provvedimento che stabilisce la definitiva corresponsione del trattamento pensionistico, a fronte di un trattamento pensionistico provvisorio. Tali ritardi sono evidenti lesioni dei propri diritti, che possono generare o dei crediti o – peggio – dei debiti pensionistici. Dall’altro canto si sta inoltre constatato che in moltissimi casi i calcoli pensionistici risultino poco chiari, oppure – sin da subito – non corretti. Lo Studio Legale MASTROVITO è a disposizione per verificare la Tua posizione pensionistica. #diritto #militare #pensioni #dirittomilitare #dirittoprevidenzialemilitare #pensionimilitari
LA CAUSA DI SERVIZIO PER IL PERSONALE MILITARE
La causa di servizio assume – senza – dubbio nell’ambito dell’ordinamento giuridico militare, il ruolo di istituto determinante al quale l’ordinamento riconduce e ricollega una pluralità di effetti, che sono di grande interesse per il personale, e non solo a contenuto economico (cfr. dall’art. 1878 e seguenti del Codice dell’Ordinamento Militare). Si pensi al sistema delle esenzioni sanitarie e dei rimborsi delle spese di cura specialistiche, all’attribuzione di miglioramenti economici stipendiali come gli scatti per l’invalidità di servizio, alle tutele stipendiali previste nel corso delle assenze dal servizio per aspettativa conseguente ad infermità, al reimpiego degli idonei nella forma parziale, all’attribuzione dell’equo indennizzo, dell’indennità una tantum o della pensione privilegiata al congedo . Infine, si deve sottolineare la speciale portata che la norma riserva al giudizio di dipendenza rispetto ai benefici economici connessi alla dichiarazione di equiparato a vittima del dovere, quale istituto di più moderna e recente concezione (DPR n. 243 del 2006). Lo Studio Legale Mastrovito offre consulenza e assistenza in materia. #diritto #serviziomilitare #concorsimilitari #militare #sottufficale #dirittomilitare #causadiservizio #idoneitàalserviziomilitare #dirittoamministrativo #infortunio #dirittoamministrativomilitare
DIRITTO PENALE. DIFFAMAZIONE E DIFFAMAZIONE AGGRAVATA A MEZZO SOCIAL.

Il reato di diffamazione si colloca all’intersezione tra la tutela dell’onore e della reputazione delle persone e il diritto alla libertà di espressione. Detto delicato equilibrio è disciplinato dagli articoli 595 e seguenti del codice penale, i quali delineano i confini e le conseguenze legali connesse alla diffamazione. La diffamazione sui social media si verifica quando vengono diffuse informazioni dannose, ovvero “commenti” lesivi e in spregio all’onore su una persona tramite piattaforme online come Facebook, Twitter, Instagram o altre. Detta diffamazione assume la qualificazione di “aggravata” in ragione dell’ampia diffusione. Infatti, il messaggio diffamatorio ha – solitamente – una vasta diffusione e raggiunge un grande pubblico (si parla di carattere di indeterminatezza) proprio tramite i social media. Lo Studio Legale Mastrovito offre assistenza legale in materia. #diritto #socialmedia #diffamazione #reato